07 lug L’evoluzione della fotografia di prodotto
Intervista a Gianni Roman, founder di Studio Indoor, con un’esperienza di oltre 30 anni nella fotografia di prodotto
Buongiorno Gianni. Subito la domanda più difficile: esiste la fotografia di prodotto che fa vendere?
Ovviamente sì, e mi verrebbe da rispondere con un’apparente banalità: la fotografia che vende è ancora la foto bella.
Ma attenzione: noi non facciamo opere d’arte, noi facciamo fotografie di prodotto. E allora forse la domanda giusta sarebbe: quando si può definire “bella” una foto di prodotto?
Allora riformulo: che cos’è la fotografia industriale?
La fotografia è sempre la focalizzazione di un momento, ossia la capacità di cogliere un’immagine che contenga e trasmetta lo spirito e il valore di quel determinato frammento di tempo, o di vita.
Ecco, quando parliamo di fotografia industriale, quel momento è chiamato invece a spiegare tante cose diverse in una singola immagine.
Quali cose?
La foto deve comunicare immediatamente al pubblico ciò che il prodotto (e quindi il brand) vuole mettere in scena. Deve risultare facilmente leggibile. Che forma ha il prodotto? Ha linee squadrate o curve? Come starebbe in casa mia? Quali sensazioni esprime l’immagine, dentro quale immaginario mi trasporta?
Quanto influisce la presenza o meno dell’elemento umano?
Ovviamente serve a “umanizzare” la fotografia e a dare proprio delle sensazioni in più. Poi comunque ci sono le mode: fino a poco tempo fa la presenza di persone era imprescindibile, poi si è inflazionata, è stata percepita come artificiosa. E allora sono spariti uomini, donne e bambini e sono comparsi gli animali domestici. Scherzi a parte: rispondo che più una foto dà la sensazione di essere vera, o almeno realistica, e più la si guarda. L’elemento umano è uno strumento che va in questa direzione.
A proposito di realismo: Studio Indoor si approccia a foto e render fotorealistico alla stessa maniera. Credi che la fotografia abbia però qualcosa in più rispetto al render?
La fotografia restituisce sapore, morbidezza. Il render fotorealistico è per sua natura più scheletrico, ma sta facendo passi da gigante. Affinché raggiunga sensazioni paragonabili a quella di una fotografia bisogna lavorarci di più, occorre avere soprattutto una grande cultura fotografica, questo è certo.
Cosa cambia tra una foto in studio e una in location?
Dipende sempre da cosa si vuole comunicare attraverso la location: si tratta sempre di trovare il modo giusto per valorizzare un prodotto. La location viene scelta per metterlo in evidenza, ad esempio sfruttando il contrasto. Per esaltare la classicità di un mobile possiamo inserirlo in una cava, oppure possiamo sottolinearne le forme e i materiali sfruttando un paesaggio naturale, un bosco ad esempio. Possiamo scegliere anche un ambiente domestico reale, cercando di coglierne il vissuto, lo spirito di chi ci vive o ci ha vissuto: in questo caso sarà proprio lo stile originale di quella casa a costruire il significato, sarebbe sbagliato stravolgerlo. Quando invece andiamo in studio lavoriamo sulla riproduzione di interni, e allora lo styling dovrà ricreare un vissuto credibile.
Possiamo dire che se l’osservatore fa fatica a indovinare quale foto sia stata scattata in studio e quale in location, abbiamo lavorato bene.
Come i telefoni cellulari hanno cambiato la fotografia di prodotto?
Oggi tutti possono scattare fotografie molto belle con ottimi strumenti. Nel frattempo è cambiato anche il modo di leggere una foto: ciò che colpisce adesso l’attenzione è il dinamismo, l’immediatezza, là dove un tempo erano invece i fondamentali dell’immagine a guidare il senso, ossia i punti e le linee forti, l’inquadratura particolare e aggressiva.
Tutti oggi possono fare la fotografia di prodotto giusta, però magari poi chi l’ha scattata non sa perché sia venuta così bene, cosa la renda davvero migliore delle altre. Credo in ogni caso sia stata un’evoluzione positiva, anche per noi professionisti.
In che senso?
Nel senso che il moltiplicarsi di immagini e punti di vista ha aumentato il nostro livello di autocritica: oggi scartiamo molto più di ieri. Se scarti significa che sei attento all’immagine, che chiudi sempre più il ventaglio. Questo dipende anche dalla modalità di fruizione di queste immagini: se vengono viste da cellulare, magari immerse nel flusso del feed dei social network, hai a disposizione pochissimi istanti per catturare l’attenzione.
Ecco, se l’utente si sofferma qualche secondo sulla tua immagine, se il suo dito ci mette un po’ di più del solito a farla scorrere via, significa che la foto sta funzionando. Che potrebbe far vendere, ritornando all’inizio della nostra conversazione.
Stessa domanda di prima: cosa la fa funzionare?
Magari è solo un punto di colore, o un taglio di luce. Gli ingredienti sono sempre quelli, però devono essere estremamente calibrati, studiati per incontrare il gusto. La progettazione riveste allora un ruolo fondamentale: per questo ritengo che per fare una buona fotografia di prodotto non serva solo chi la scatta, chi “preme il grilletto”, ma un’intera equipe che lavora nella stessa direzione.
Uno sguardo al futuro, che in realtà è già presente: dove può arrivare l’Intelligenza Artificiale?
Ci sono in ballo questioni normative e di regolamentazione, con cui ho poca dimestichezza. Ma sono convinto che qualsiasi innovazione tecnologica può portare a un progresso. Quando uscì l’autofocus alcuni fotografi reagirono con una certa diffidenza. Io invece mi trovai subito a mio agio, perché potevo concentrarmi di più sull’inquadratura senza perdere le frazioni di secondo dedicate alla messa a fuoco. Sono certo che, usata nella maniera corretta, anche l’AI possa tornare utile. Con un però.
Chiudiamo allora con questo “però”.
La maggior parte dei fotografi, forse tutti (io sono tra questi) s’ispirano a chi li ha preceduti. Li studiano, li reinterpretano, riprendeno il loro discorso e infine trovano la propria strada. Ho invece paura che a furia di fornire riferimenti e referenze dettagliate all’AI (sul modello “vorrei una foto come quella di…”, per capirci), le immagini finiranno per somigliarsi, per omologarsi, e così verranno meno i punti di vista. Dovesse succedere, e non me lo auguro, non sarebbe un bel servizio per brand e prodotti.